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Un fenomeno ancora sottostimato: il mobbing

Cos’è il mobbing?

E’ necessario qualche chiarimento perché non tutti i conflitti possono essere ricondotti a questo fenomeno. Inoltre, affinchè ci si possa ricollegare devono ricorrere determinate circostanze legate alla sistematicità della condotta e alla sua durata nel tempo.

Discutere con il capo o vivere momenti di forte stress può capitare a tutti ma subire pratiche aggressive e strategie comportamentali volte alla distruzione psicologica, sociale e professionale che causano problemi psicologici che spesso precedono il licenziamento è tutta un’altra cosa.

I protagonisti del mobbing sono: i mobbers, coloro che adottano comportamenti vessatori; le vittime o mobbizzati, coloro che subiscono; gli spettatori, coloro che non sono coinvolti direttamente nel comportamento vessatorio ma il cui comportamento può influire sullo sviluppo del mobbing.

Il loro silenzio è dovuto alla paura di avere ritorsioni o addirittura di perdere il lavoro.

Harald Ege, dottore specializzato in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, noto in Italia per essere stato il primo, nel 1995, a proporre il termine “mobbing” ha dato questa definizione del fenomeno: quella “forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento”.


Praticamente si tratta di una forma di terrore psicologico esercitato con condotte aggressive e reiterate volte ad impedire alla vittima di lavorare o comunque svolgere serenamente la propria attività.


Nonostante l’art.2087 del Codice Civile obbliga il datore di lavoro a garantire un ambiente di lavoro sicuro, vigilando su qualunque condotta potenzialmente lesiva nei confronti dei lavoratori da parte di colleghi o superiori, certi comportamenti continuano a realizzarsi.

Da chi è commesso ?

In genere è commesso dai superiori nei confronti dei dipendenti.

In Italia è molto diffusa tra i colletti bianchi.

Nel settore pubblico più che nel privato: soprattutto scuola, sanità e amministrazione pubblica.

Nel settore pubblico pare sia perpetrato dai colleghi e superiori al fine di indurre a desistere dalla sua azione chi si è posto in contrasto con l’ideologia della maggioranza dell’ufficio.

Nel settore privato è molto diffuso il bossing (capo nei confronti del sottoposto).
In ogni caso, in base ai soggetti che pongono in essere il mobbing ed alle caratteristiche delle condotte mobbizzanti, la giurisprudenza ha elaborato delle categorie :

1)         mobbing verticale, a sua volta distinto in mobbing discendente e ascendente.
Nel primo caso la condotta persecutoria può essere commessa dal datore di lavoro o comunque un superiore gerarchico del dipendente, mentre nel mobbing ascendente è un lavoratore di livello più basso ad attaccare un soggetto a lui sovraordinato che occupa un posto o un grado superiore

2)         mobbing orizzontale nel caso in cui la condotta mobbizzante sia realizzata da uno o più colleghi posti allo stesso livello della vittima.

Le motivazioni possono essere le più diverse: la competizione, l’intento di riversare su un capro espiatorio le problematiche interne di vario genere, motivazioni strettamente personali, tipo l’antipatia, oppure le conseguenze del rifiuto da parte della vittima delle avances del superiore o del collega poi divenuto mobber. Infine, spesso, le grandi aziende l’utilizzano per aggirare la normativa a tutela dei licenziamenti, cagionando nel lavoratore “sgradito” una condizione di stress psicofisico idonea a determinarlo ad abbandonare di sua “spontanea volontà” il luogo di lavoro.

Contrariamente a quanto può pensarsi, il mobbing non si manifesta nei confronti dei soli dipendenti deboli, ma soprattutto a danno dei lavoratori con spiccata personalità, o molto bravi, o con un’anzianità che è divenuta troppo costosa dal punto di vista della retribuzione.


Quali sono le condotte vessatorie?


Possiamo dire che il mobbing non è costituito da un singolo fatto ma da una serie di condotte anche diverse tra loro ma inquadrabili in un unico schema.
Ne indicherò alcune ma l’elenco è esemplificativo e non esaustivo:

– isolare fisicamente il lavoratore (privandolo ad es. delle attrezzature quali computer, stampante, telefono, escludendolo dai corsi di aggiornamento o dalle riunioni);

–              pregiudicarne la reputazione ridicolizzando e/o diffondendo maldicenze;

–              attribuirgli mansioni dequalificanti, degradanti o umilianti;

–              assegnargli eccessivi carichi di lavoro;

–              collocarlo in postazioni di lavoro inidoneo;

–              controllarlo continuamente;

–              revocargli o non concedergli ferie o permessi

–              molestarlo sessualmente ecc.

La persona colpita ha effetti devastanti. I danni possono essere di natura fisica e psichica.

Ma le conseguenze di tale fenomeno non coinvolgono solo la vittima.

La mancanza di serenità sul posto di lavoro ed i problemi di salute del mobbizzato provocano un minore rendimento e, pertanto, una perdita economica per l’azienda.
Peraltro, la concorrenza può approfittare della pubblicità negativa che inevitabilmente l’azienda avrà.
Ed ovviamente lo stress che ne deriva coinvolge anche i familiari della vittima perché In famiglia sfogherà rabbia, depressione ed insoddisfazione  e questo grave malessere provocherà uno squilibrio dei rapporti.

Risarcimento del danno

Le vittime potranno citare in giudizio i loro carnefici allo scopo di ottenere un risarcimento per le sofferenze patite. Si pensi al mobbizzato vessato ed umiliato quotidianamente dai propri superiori che contragga una forma di depressione.

Il danno che può subire la vittima di mobbing è pertanto costituito da:

–      danno biologico, ossia il danno all’integrità psico-fisica della persona. La sistematicità delle condotte poste in essere verso il mobbizzato gli procurano una vera e propria invalidità psico-fisica, ossia, una riduzione permanente della capacità lavorativa. Pertanto, il mobbing viene inquadrato all’interno della categoria delle malattie professionali che danno diritto al riconoscimento del danno biologico, come ammesso dall’Istituto nazionale di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail).

–      danno non patrimoniale, ossia il danno alla vita di relazione, alla sfera emotiva, etc.;

–      danno patrimoniale, ossia le conseguenze patrimoniali del mobbing come ad esempio i soldi spesi per le cure mediche, psicologiche, etc.

La quantificazione del danno patrimoniale è più semplice perché basterà allegare ad esempio le fatture per le spese mediche sostenute mentre per il danno non patrimoniale saranno utilizzate, su tutto il territorio nazionale, le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.

Per sostenere una valida azione risarcitoria in giudizio i presupposti sono essenzialmente due:

1)      l’elemento oggettivo, integrato da una pluralità di specifici comportamenti del datore di lavoro;

2)      l’elemento soggettivo, ossia l’intento persecutorio del datore.

Fondamentale prova da fornire è quella relativa ai danni che potrà essere data tramite testimoni, perizie e certificati medici che attestino lo stato di salute del dipendente e soprattutto che questi danni siano dovuti agli atti vessatori subiti.

La prova di questi ultimi aspetti riveste molta importanza per i Giudici.

È doveroso sottolineare che l’onere della prova grava sul dipendente.
In sostanza è la vittima a dover provare il dolo del mobber.

Dev’essere dimostrato l’intento persecutorio che unifica i singoli atti mobbizzanti a sostegno della condotta del datore di lavoro. Occorre dimostrare di essersi ammalati.

Tra i possibili sintomi possono esserci difficoltà respiratorie, problemi cutanei e dermatite, depressione, gastrite, difficoltà a concentrarsi, palpitazioni, esaurimento nervoso, insonnia, ansia, attacchi di panico ecc.


Tutte queste problematiche che intaccano l’umore e le relazioni familiari e sociali possono incidere sulla voglia di continuare a vivere, portando, nei casi più gravi, anche al suicidio.


Una volta che il Giudice rilevi la presenza di azioni vessatorie e l’esistenza di danni alla salute, nomina un consulente medico che dovrà verificare che le suddette malattie dipendano dalle aggressioni subite e che, pertanto, vi sia un nesso di causalità.

Tutela penale


Allorchè la condotta persecutoria integra gli estremi di un reato, il lavoratore ha a disposizione anche la tutela penale.


Non esiste, tuttavia, nella legislazione vigente lo specifico reato di mobbing. Ad ogni modo, considerando la varietà di forme che le condotte persecutorie possono, di volta in volta assumere, la giurisprudenza ha riconosciuto l’integrazione di diverse fattispecie criminose.
In particolare:

–              Maltrattamenti contro famigliari e conviventi (art. 572 cp)

–              violenza privata (art. 610 cp)

–              minaccia (art. 612 cp)

–              lesioni personali dolose colpose (rispettivamente artt. 582 e 590 cp)

–              violenza sessuale (art. 609 bis cp) – molestia o disturbo alle persone (art. 660 cp)

–              abuso d’ufficio (art. 323 cp)

–              estorsione (art. 629 cp)

–              stalking (art. 612 bis cp).

Del mobbing in ambito penale vi parlerò più approfonditamente in un video che pubblicherò sul mio canale YouTube, relativo ad un mio recente intervento ad un webinar in materia.

Come detto, non tutti i conflitti possono essere ricondotti a questo fenomeno.
Non si ha il mobbing se le risultanze di causa, puntualmente analizzate, rivelino una situazione conflittuale tra ricorrente e resistente ma non così grave da ricondurre le condotte ad un intento persecutorio. Non si tratta di mobbing se vi è un quadro di ordinaria conflittualità ricollegabile alle dinamiche tipiche dell’ambiente di lavoro.


Quali prove occorrono per dimostrare di essere vittime di mobbing?

Per la Cassazione gli elementi sostanziali e procedurali necessari a configurare una condotta di mobbing sono:


1) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi”;
2) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
3) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria;
4) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Per provare il comportamento del mobber è utile raccogliere, annotandole e se possibile documentandole, tutte le prove cercando di far maturare la consapevolezza e la solidarietà degli eventuali testimoni; sarebbe utile raccogliere la documentazione comprovante le vessazioni subite, annotare giorno, ora, luogo, autore del comportamento mobbizzante, testimoni disponibili a confermare le circostanze. 


Straining


Abbiamo detto che per parlare di mobbing, è necessario che l’azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salute e infine che questo danno possa essere messo in relazione all’azione persecutoria svolta sul posto di lavoro.
Possono però esserci casi in cui una sola azione ostile e stressante abbia effetti negativi duraturi nel tempo. Pensiamo ad esempio al dimensionamento.

Si tratta certamente di una situazione stressante che può causare gravi disturbi psicosomatici ma non è un’azione ripetuta nel tempo.
In questo caso si parla di straining.


È sempre il Dott. H.Ege che conia questo termine e definisce tale fenomeno come ” Una situazione di stress forzata sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo dell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che ha fatto lo straining (strayer). Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante“.


Praticamente la differenza fondamentale tra lo straining e il mobbing consiste nel fatto che, nel primo caso è presente un’azione unica ed isolata, mentre nel secondo è fondamentale la continuità delle azioni vessatorie.


Cosa fare se si è vittima di mobbing?

Chi ritiene di essere vittima di mobbing, e non semplicemente di qualche antipatia sul posto di lavoro, deve assolutamente difendersi.

Ci si può rivolgere alle organizzazioni sindacali e associazioni di volontari che si mettono a disposizione per tentare di risolvere il problema, passando prima per le vie non legali.

Se, invece, la condotta è così grave da non poter essere risolta con il dialogo, la vittima deve rivolgersi direttamente alle Forze dell’ordine o ad un legale e presentare una denuncia per minacce, violenza psicologica, discriminazione, molestia sessuale, in base alla tipologia di condotta e dei motivi delle vessazioni continue.

Il mobbing è molto più diffuso di quanto si possa pensare nonostante, in realtà, solo una piccola parte delle vittime di questo comportamento si decide a denunciare questa situazione e a chiedere il risarcimento del danno.

Nel nostro Paese non si riesce a stimare il fenomeno in termini quantitativi proprio perchè molte vittime non denunciano.


Per tutte le considerazioni sopra esposte la responsabilità dell’autore di mobbing risulta, ancora, difficilmente dimostrabile.
Ci si auspica, pertanto,
l’introduzione di una normativa ad hoc, che, al pari di quanto è avvenuto con riferimento al reato di stalking protegga finalmente la vittima con strumenti adeguati. 

https://screpmagazine.com/un-fenomeno-ancora-sottostimato-il-mobbing/

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