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“VIAGGIO NEL MONDO DEI REATI VIRTUALI: DALLE TRUFFE SENTIMENTALI AL REVENGE PORN”

I reati virtuali sono in costante evoluzione e rappresentano il lato negativo della digitalizzazione.

I cybercrimini possono essere di tre tipi: legati alla proprietà, individuali o contro lo stato. In questo articolo ci soffermeremo su alcuni di quelli legati alla persona perchè di adescamento di minori, di revenge porn e di truffesentimentali” ci occuperemo il 13 maggio p.v. in un webinar organizzato dallo

Studio Legale Avv. Maria Furfaro

Professional Speakers

Società Internazionale di Criminologia e Scienze Forensi.

I relatori saranno d’eccellenza:

Dott.ssa  Maria Letizia Mannella,

Procuratore aggiunto, Capo del Pool Fasce deboli del Tribunale di Milano

Dott.ssa Lisa Di Bernardino,

Vice Questore della Polizia Postale

Dott.ssa Viviana Lamarra,

Psicologa, Criminologa,  Presidente S.I.C.S.F. – Società Internazionale di Criminologia e Scienze Forensi

Maria Grazia Bortolussi,

Presidente ALCY, Associazione Lotta Cybercrime Truffe Affettive

Prof. Ing. Paolo Reale,

Professore Università UNINETTUNO, Presidente ONIF – Osservatorio Nazionale di Informatica Forense 

L’articolo 609 undecies del Codice Penale disciplina il reato di ” adescamento di minorenne” che così recita:

Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Si tratta di un reato subdolo concretizzato mediante tecniche di manipolazione psicologica atte ad indebolire le volontà della vittima e creare un rapporto di confidenza con l’adescatore per fini di sfruttamento o abuso.

Affinché il reato possa considerarsi integrato, non è necessaria la consumazione, essendo sufficiente che vengano poste in essere condotte meramente preparatorie.

Si tratta, dunque, di un reato di pericolo volto a neutralizzare il rischio.

In altre parole, la fattispecie esaminata sanziona una condotta che precede l’abuso sul minore, anticipando così la soglia della punibilità.

Il carnefice può essere chiunque, solitamente un soggetto di età notevolmente superiore al minore adescato. Ma non sempre è così. Ovviamente si presenta come coetaneo.

I contatti via web sono molto facilitati, spesso per il poco controllo da parte dei genitori e poi perché i minori tendono a postare ogni cosa e a localizzarsi ovunque.

I pedofili sanno quali tecniche manipolative utilizzare per “avvicinare” i ragazzi, stabilire un contatto e dopo avere preparato il terreno alla richiesta di immagini a sfondo sessuale, richiedere un incontro dal vivo.

L’adescamento è un reato procedibile d’ufficio che deve essere denunciato all’Autorità Giudiziaria o alle Forze dell’Ordine.

Se ci si accorge che un minore (figlio, studente, amico di famiglia) è in contatto con un adulto sconosciuto, è importante denunciare e informare la famiglia perché possa attivarsi per proteggere la vittima.

L’escalation di un adescamento è imprevedibile: la relazione virtuale può durare mesi oppure portare ad un incontro nel giro di un pomeriggio.

I minori più a rischio sono quelli che passano molte ore in rete soli e senza un controllo.

I carnefici che riescono ad incontrare questi bambini realizzano foto e filmati di violenza sessuale per diffonderli nei circuiti on-line del deepweb, convinti di essere protetti da una maggiore riservatezza e sicuri di ricoprire, nella “comunità pedofila” un ruolo privilegiato.

Ma come detto i reati virtuali sono tanti…

Dal sito della Polizia Postale risulta che “Nell’ambito delle truffe online, nel corso del 2020 sono stati
trattati complessivamente 98.000 casi.

Particolare attenzione è stata indirizzata all’attività di prevenzione e contrasto al revenge porn con 126 casi trattati e 59 denunciati; alla diffamazione on line con 2.234 casi e 906 persone denunciate; 143 sono stati casi relativi allo “stalking” con 7 arrestati e 73 denunciati e alla cosiddetta “sextortion” con 636 casi trattati, una persona arrestata e 36 denunciate.

I reati afferenti al cosiddetto “Codice Rosso”, le cui indagini sono profuse non soltanto per giungere all’identificazione del responsabile del reato, ma anche per la rimuovere i contenuti dal web o, quantomeno, per limitarne la divulgazione massiva, hanno visto nella Polizia Postale un punto di riferimento per le tante vittime di reato.

Anche nella repressione dei reati di minacce e molestie, perpetrate attraverso i social network ovvero con “mezzi tradizionali”, massimo è stato l’impegno della Polizia Postale con 1001 casi trattati, 2 arrestati e 270 persone denunciate.

L’attività investigativa volta ad arginare il fenomeno dell’hate speech, è stata particolarmente complessa portando alla trattazione di numerose segnalazioni di utenti attraverso il Commissariato di P.S. online, e un monitoraggio attivo della rete attraverso le piattaforme social.

In questo ambito una particolare attenzione si è avuta per gli atti intimidatori posti in essere nei confronti dei giornalisti, con l’attiva partecipazione, in chiave operativa con idonee iniziative di prevenzione e contrasto, al Sottogruppo istituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale – Servizio Analisi Criminale.

Sono stati 35 gli interventi da parte degli Uffici della Polizia Postale dislocati su tutto il territorio nazionale, coordinati dal Servizio Polizia Postale, finalizzati alla prevenzione di intenti suicidari da parte di utenti dei social network, anche grazie alle segnalazioni pervenute al Commissariato di PSOnLine”.

Una delle principali novità contenute nel c.d. “Codice Rosso” (legge 19 luglio 2019, n. 69) è rappresentata dall’introduzione nel codice penale del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

Solo negli ultimi anni si è capita la portata devastante che possono avere tali reati: in Italia, in particolare, si è iniziato a parlare di una proposta di legge che tutelasse le vittime delle “vendette pornografiche” solo dopo il caso della povera Tiziana Cantone. Una donna che, a causa di alcuni video messi in rete contro la sua volontà, si è suicidata nel 2016. L’argomento che ha fatto svegliare le coscienze è stato però il caso
della parlamentare dei Cinque Stelle, Giulia Sarti.

Il revenge porn consiste nella pubblicazione, o minaccia di pubblicazione (anche a scopo di estorsione), di fotografie o video che mostrano persone impegnate in attività sessuali o ritratte in pose sessualmente esplicite, senza che ne sia stato dato il consenso dal diretto interessato.

La fattispecie presenta una disciplina complessa articolata in due differenti ipotesi disciplinate rispettivamente al comma 1 e al comma 2.

Il comma 1 dell’art. 612-ter c.p. punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza con consenso delle persone rappresentate, è punito con la
reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Il comma 2 prevede che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare il loro nocumento.

Due fattispecie di reato diverse: la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate da parte di chi queste immagini le ha realizzate e da parte di chi le riceve e contribuisce alla loro ulteriore diffusione al fine di creare nocumento alle persone rappresentate.

Contro il revenge porn, dal sito del Garante della Privacy, vi sottolineo un canale di emergenza per le vittime potenziali. Una collaborazione tra Garante Privacy e Facebook per aiutare le persone che temono la diffusione senza il loro consenso di foto o video intimi

Il Garante per la protezione dei dati personali mette a disposizione sul proprio sito un canale di emergenza.

Le persone che temono che le loro foto o i loro video intimi possano essere diffusi senza il loro consenso su Facebook o Instagram, potranno segnalare questo rischio e ottenere che le immagini vengano bloccate.

Il canale di segnalazione preventiva è quello attivato lo scorso anno in Italia, come programma pilota, da Facebook e che è stato accessibile fino ad ora nel nostro Paese solo attraverso una associazione no profit.

Dall’8 marzo 2021 le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, vengano condivise, possono dunque rivolgersi al Garante Privacy, consultando la pagina
www.gpdp.it/revengeporn, per segnalarne l’esistenza in modo sicuro e confidenziale a Facebook e farle bloccare.

Nella pagina predisposta dal Garante, le potenziali vittime di pornografia non consensuale trovano un modulo da compilare per fornire all’Autorità le informazioni utili a valutare il caso e a indicare all’interessato il link per caricare direttamente le immagini sul programma.

Una volta caricate, le immagini verranno cifrate da Facebook tramite un codice “hash”, in modo da diventare irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnologia di comparazione, bloccate da possibili tentativi di una loro pubblicazione sulle due piattaforme.

Di questo e di molto altro vi parleremo il prossimo 13 maggio. Per le iscrizioni usate questo format 👇

 

 

 

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