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I minori e le insidie del web

 

Un tema che da sempre mi sta particolarmente a cuore è quello delle insidie che i piccoli cybernauti possono incontrare nel web.

 

Un’indagine Istat pubblicata nel 2020 ha messo in evidenza l’accesso sempre più precoce alla rete da parte dei bambini, già a partire dai sei anni: nel 54% dei casi i bambini usano la rete internet di casa e sono in aumento i bambini che hanno uno smartphone nell’età compresa fra i 6 e i 10 anni.

 

Purtroppo, i genitori hanno la scorretta abitudine di consentire ai figli l’utilizzo di smartphone e tablet già a partire dal primo anno di vita e 8 bambini su 10, nell’età compresa fra i 3 e i 5 anni, sono soliti usare il cellulare dei genitori.

 

Un dato agghiacciante, che risale già al 2018, è che il 98% dei minori tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale a partire dai 10 anni d’età.

 

L’accesso a internet e l’apertura del primo profilo social si aggira intorno ai 9 anni: questo è, a parere di chi scrive, un grosso errore.

 

In Italia, chi ha meno di 13 anni, non può iscriversi ai social network, mentre, chi ha un’età compresa tra i 13 e i 14 anni, può farlo ma serve l’autorizzazione dei genitori ma, si sa, questo è un divieto facilmente aggirabile.

 

Molti adolescenti sono iperconnessi e gestiscono, addirittura, più profili sui social network. Hanno applicazioni sconosciute ai genitori e questo consente loro di essere meno controllati ed anche più sicuri di poter “osare”, favorendo comportamenti come il sexting, il cyberbullismo e la diffusione di materiale privato in rete; e le conseguenze di tali condotte possono essere tragiche.

 

Il 14% degli adolescenti ha anche un profilo finto, che conoscono solo in pochi, risultando, quindi, non controllabile dai genitori e, nel contempo, facile preda della rete del grooming (adescamento di minori online).

 

Ma lo smartphone non viene utilizzato solo durante il giorno.

 

Un altro fenomeno emergente è il c.d. Vamping, cioè l’utilizzo di chat e internet durante le ore notturne.

 

I ragazzi si svegliano o rimangono svegli durante la notte per leggere le ultime notifiche dei gruppi whatsapp onde evitare di sentirsi tagliati fuori dal gruppo oppure per chattare con amici e fidanzatini oppure con potenziali “orchi”.

 

Ciò, evidentemente, causa notevoli problemi perché questo abuso dello strumento influenza negativamente la quantità e la qualità del sonno interferendo direttamente sulle attività quotidiane dei ragazzi: l’utilizzo ossessivo, infatti, provoca deconcentrazione, stati d’ansia, nervosismo e difficoltà a restare attenti alle lezioni provocando, dunque, uno scarso rendimento scolastico oltre che affaticamento oculare, mal di testa o al mal di schiena, fino ad arrivare allo sviluppo di una vera e propria dipendenza patologica.

 

Per gli adolescenti, e non solo, a dire il vero, è molto importante il numero dei like ricevuti: tanti like e tante approvazioni accrescono l’autostima, la popolarità quindi la sicurezza personale. Ovviamente, vale anche il contrario, ovvero commenti dispregiativi e pochi like condizionano l’umore e l’autostima in negativo.

 

L’iperconnessione è talmente elevata che la c.d. “Nomofobia”, da No-mobile-phone, è la nuova fobia legata all’eccessiva paura di rimanere senza telefono o senza connessione ad internet: il terrore che si scarichi il cellulare o che non ci sia segnale in alcuni luoghi genera ansia, rabbia e frustrazione.

 

Un problema grave e allarmante è che circa 1 adolescente su 10 scatta selfie pericolosi con i quali mette anche a repentaglio la propria vita ed oltre il 12% è stato sfidato a fare un selfie estremo per dimostrare il proprio coraggio; ed alcuni hanno, persino, perso la vita.

 

Poi ci sono le sfide social o Challenge ossia tutte quelle catene che nascono sui social network nelle quali si viene nominati o chiamati a partecipare da altri attraverso un tag; lo scopo, in genere, è quello di postare un video o un’immagine richiesta per poi “nominare” altre persone a fare altrettanto, diffondendosi a macchia d’olio nel Web, anche nell’arco di poche ore.

 

Vi sono, ad esempio, le catene alcoliche che prevedono la finalità di bere ingenti quantità di alcool in tempi brevissimi e in condizioni o luoghi particolari; ma anche sgambetti, la c.d. “Skullbreaker challenge” o legarsi una cintura al collo per provocare asfissia, soffocamento autoindotto, salti su auto in corsa, distendersi sui binari ed altro ancora.

 

Ad ottobre 2020, a Napoli, un undicenne si è suicidato per portare a termine un gioco proposto in rete: s’indaga per istigazione al suicidio a carico di ignoti; è di ieri la notizia che una bimba di 10 anni è morta a Palermo a seguito di arresto cardiocircolatorio dovuto a un’asfissia prolungata: secondo una prima ricostruzione, per partecipare a una “sfida social” estrema, la “Black out challenge”, si era legata una cintura alla gola.

 

Un drammatico precedente risale al 2018 allorquando un ragazzino di 14 anni venne trovato morto asfissiato nella casa di famiglia a Milano: aveva una corda stretta attorno al collo e, secondo la famiglia, il ragazzo aveva partecipato al predetto gioco alla ricerca di emozioni estreme.

 

Questi “giochi” nascono da una richiesta d’amicizia e, successivamente, viene proposto di partecipare a giochi e prove di abilità; successivamente, chi ha aderito, si trova coinvolto in un perverso meccanismo che incita a prendere parte a prove sempre più rischiose, fino all’autolesionismo e al suicidio.

 

Occorre parlare ai ragazzi, spiegare loro che in rete ci sono queste sfide idiote per far sì che non ne subiscano il fascino, anche se sono molto fragili, si sentono immortali e difficilmente riescono a prevedere le tragiche conseguenze delle loro condotte; bisogna sempre monitorate la navigazione dei ragazzi e stabilire un tempo massimo da trascorrere connessi: ad esempio, porre il computer in un luogo dove è possibile tener d’occhio l’attività del bambino su Internet, offre la possibilità di esercitare un maggiore controllo; ad esempio, la funzionalità di Controllo Genitori presente in software come Antivirus Security Suite di 3 costituisce un modo semplice per rinforzare i propri criteri di utilizzo di Internet e consente di impostare specifici limiti temporali e di categoria, proibendo, esemplificativamente, la navigazione su siti di violenza, pornografia, giochi online, ecc.

 

Ad ogni modo quando vi capitano video riguardanti sfide pericolose o compaiono inviti a partecipare a challenge, segnalateli immediatamente alla Polizia postale, anche online,  sul sito del commissariato di ps online.

 

Il bullismo online e i filmati violenti costituiscono altre preoccupanti tendenze in crescita nel web.

 

C’è come l’impressione che tutto sia permesso nel mondo online: dunque, capita persino che commettano reati. Ed in questo caso c’è una responsabilità dei genitori.

 

Ultimamente mi è capitato un caso di cyberbullismo, dove 3 ragazzi avevano aperto una pagina instagram per insultare pesantemente una loro compagna di classe ed una volta che il materiale offensivo viene posto sulla rete, non è più possibile interromperne la diffusione: i genitori devono collaborare con scuole e altre autorità per contrastare queste tendenze.

 

Con il Covid le cose sono peggiorate, e di molto.

 

I ragazzi hanno aumentato tantissimo il tempo trascorso davanti al computer e, purtroppo, sul web, perché non hanno più i loro momenti di socialità e si chiudono in camera con i loro smartphone: si sentono abbandonati anche dai genitori, impegnati tra smartworking e problemi vari; il lockdown e la chiusura delle scuole ha determinato un aumento degli stati d’ansia e depressione nei ragazzi e non sempre i genitori si accorgono di questi malesseri.

 

Nel suo aspetto peggiore, il web può danneggiare seriamente lo sviluppo emotivo dei bambini e portare a situazioni che li pongono fisicamente in pericolo.

 

Con questo articolo non voglio demonizzare internet che ha, realmente migliorato la vita delle persone: è uno strumento importantissimo se ben utilizzato e durante la pandemia ha reso possibile la didattica a distanza, facendo sì che tra i ragazzi ci fosse un minimo di socialità. Tuttavia, accanto alle diverse opportunità che la rete offre, vi sono altrettanti rischi: un uso responsabile è necessario!

 

In questa piazza virtuale possono farsi incontri pericolosi.

 

Atteggiamenti o condotte che i ragazzi sanno essere pericolose possono essere “dimenticate” se presi da entusiasmo ed emozioni che non sono in grado di gestire.

 

Per questa ragione in data 24 gennaio 2019 è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge – la n. 1537 ‒ volta a introdurre nel nostro ordinamento norme a tutela dei minori che accedono alla rete internet.

 

In particolare, è stato proposto – sulla scia di quanto già previsto dall’art. 3 del codice di autoregolamentazione “Internet e minori” del 2003 ‒ di obbligare per legge i provider ad offrire a tutti gli utenti internet servizi di navigazione differenziata.

 

Ma, al di là degl’interventi normativi, è decisivo il ruolo dei genitori, i quali hanno la responsabilità di proteggere i propri figli. I genitori devono essere i primi ad istruire i ragazzi sull’uso corretto della rete, e a vigilare per evitare l’esposizione ai possibili rischi.

 

In rete si aggirano molti pedofili che adescano utilizzando proprio i canali di comunicazione dei giovanissimi, riuscendo, in tal modo, ad ottenere contenuti a sfondo sessuale.

 

A volte i carnefici sono soggetti insospettabili, incensurati, ossessivamente alla ricerca di nuove prede: è sufficiente contattare un minore per poi allargare il giro a tutta la rete di amicizie dei bambini; in alcuni casi i pedofili conoscono personalmente le vittime, perché, magari, amici di famiglia, ma avendo aperto profili falsi sono difficilmente individuabili; spesso, ancora, si presentano come coetanei e le categorie possono essere le più diverse: dal ragazzino al professionista.

 

Usano tecniche di manipolazione per costringere le vittime ad assecondare le loro richieste e far sì che mantengano l’assoluto riserbo su quanto accade.

 

Nel luglio 2020 il Tribunale di Parma, all’interno di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha affermato che è dovere dei genitori controllare smartphone e PC dei figli adolescenti e che è, altresì, legittimo l’uso dei filtri di parental control.

 

La Costituzione, all’art. 30 impone l’obbligo di educazione, un “obbligo all’educazione digitale”, al fine di formare nel miglior modo possibile i figli.

 

Tuttavia, va considerato che a molti genitori mancano le necessarie conoscenze tecniche; molti genitori pubblicano foto e video dei figli, informazioni personali e commenti di ogni genere, esponendosi, insieme ad i loro piccoli, a rischi enormi, senza avere piena consapevolezza degli effetti negativi della loro condotta: non solo i minori, quindi, ma anche gli adulti hanno bisogno di una vera e propria “alfabetizzazione digitale”.

 

Pertanto, sarebbe auspicabile la previsione per legge di corsi di formazione e di giornate di orientamento per studenti e genitori all’interno delle scuole ed incrementare le attività attualmente previste nell’ambito scolastico in tema di educazione digitale, incontri per sensibilizzare studenti e genitori sull’importanza di un’adeguata formazione digitale, sui rischi della rete e sulle regole da seguire nella comunicazione on line.

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